venerdì 10 aprile 2015

Ripartire dal Cuore - Festa Diocesana dei Giovani

Sabato 28 Marzo presso il “Teatro Reginella” di Santa Lucia di Cava dei Tirreni i gifrini hanno partecipato alla festa dei giovani organizzata dalla Pastorale giovanile della Arcidiocesi Amalfi - Cava, il cui tema è stato:"Ripartire dal cuore". Anche quest’anno i gifrini hanno collaborato con i ragazzi dell’oratorio della SS. Annunziata per animare l’evento con tanti balli tra cui l’inno scelto per questa giornata"Fatti avanti amore", accogliendo tutti i giovani giunti da varie parrocchie della diocesi.
Il pomeriggio ha avuto inizio con un momento di preghiera durante il quale abbiamo vissuto tante emozioni nell'ascoltare la testimonianza dei giovani del centro Girasole” di Tramonti, che accoglie soggetti disabili e il cui obiettivo è quello di integrarli socialmente.
Giovani del centro "Girasole"
I giovani hanno cantato "Come un pittore", la famosa canzone dei Modà. Come ha riferito la collaboratrice dell’associazione: " I ragazzi disabili sono dotati di particolari abilità e doni dell’anima come l’allegria e la voglia di vivere, ed è questo che li rende davvero speciali”. Ed è vero perché sono capaci di trasmettere gioia al solo guardarli. Hanno bisogno solo di tanta cura ed attenzione e loro ricambiano con tutto l’ amore che possono donare. Ragazzi davvero unici che nel partecipare ai balli, con le loro possibilità, hanno riacceso la sensibilità di tuttie lo facevano con un’allegria che ci porta a riflettere: vedere giovani che, nonostante le loro difficoltà, hanno tanta gioia e voglia di vivere, mentre noi siamo mai contenti di ciò che abbiamo e sprechiamo il dono della vita che ci è stato fatto.
In seguito la parola è passata al Vescovo Orazio Soricelli che ha ricordato il tema di quest’anno rimarcando il discorso del Papa sulle beatitudini.
Al termine del momento di preghiera iniziale, presso le sale dell’oratorio della chiesa di S. Lucia, sono iniziati i laboratori curati da giovani animatori e da diversi sacerdoti della diocesi. I giovani sono stati divisi in vari gruppi e hanno partecipato a tre laboratori: il primo intitolato "Io con il tu" in cui si è discusso sul tema dell’amicizia, sul rapporto con il fratello, nostro prossimo, sulle nostre capacità di aiutare l’altro in difficoltà e su quanto siamo disposti ad amare l’altro, quelle persone riservate, emarginate perché non al passo con le tendenze del momento
Il secondo laboratorio è stato:"Io con me stesso"; attraverso una riflessione sulla canzone di Marco Mengoni “Essere umani”, i ragazzi hanno cercato di riscoprire se stessi guardandosi attraverso uno specchio e privandosi dellemaschere che spesso indossiamo nel quotidiano, nei vari rapporti e situazioniConclusioni? "Lamore ha vinto, vince e vincerà", bisogna credere in se stessi e accettarsi senza indossare alcuna maschera, il Signore ci ama così come siamo, e non perdere la speranza qualunque cosa accada. Per potersi aprire al prossimo è necessario avere fiducia in sé e consapevolezza del proprio essere.
Kantiere Kairos
L’ultimo laboratorio è stato " Io con il noi" nel quale si è parlato di un valore importantissimo per noi giovani: lalibertàLa libertà che dovremmo avere noi giovani nell’affrontare le scelte, senza farci influenzare dalla società che ci viene proposta ogni giorno, improntata all’individualismo, e se è possibile riscoprire, creare un mondo nuovo. I nostri obiettivi futuri ,ad esempio, non devono essere visti solo come pura autorealizzazione personale, ma come un modo per dare aiuto e rendere felice anche l’altro.
Conclusi i laboratori, al Teatro ci attendeva il gruppo Kantiere Kairos” per dare inizio ad un concerto. Unrock band cristiana, formata da ragazzi comuni, ma con tanta voglia di testimoniare il Signore attraverso la modalità della musica, il linguaggio che più li rappresenta.
Varie sono state le tematiche affrontate nelle canzoni, tra cui la morte, vista non come un qualcosa di negativo, ma come un incontro con il Signore nei cieli. In una canzone in particolare hanno evidenziatoche noi siamo strumenti nelle mani di Dio che la sua Volontà deve essere fatta.
Al termine delle diverse canzoni, o meglio, veri e propri inni all’amore del Signore, i ragazzi sono stati inviatati a provare la sensazione in prima persona, alzandosi in piedi e cantando una Lode al Signore che ci ama e ci amerà sempre. 
Il Vescovo coi tanti giovani che hanno partecipato alla festa
L’evento si è concluso con la cena condivisa e offertaci dalla parrocchia di Santa Lucia, con i saluti e ringraziamenti finali.      
Si attende già la festa del prossimo anno, con tanta voglia di stare insieme sia tra i giovani ma soprattutto con il Signore, che è perno della nostra vita, ci unisce e ci dà forza e gioia ogni giorno. Vi aspettiamo!

giovedì 2 aprile 2015

Mani tese verso il Mondo

Il carcere è un’istituzione conosciuta genericamente come luogo nel quale vengono imposte delle restrizioni più o meno gravi a persone che hanno violato la legge. Il progetto “Mani tese verso il mondo” nasce dalla volontà della famiglia francescana laica di Campania e Basilicata di rendersi presente ai fratelli che vivono un difficile status di vita ed ha come obiettivo la sensibilizzazione delle fraternità locali OFS e Gifra verso queste realtà. 
La gioventù francescana di Cava de’ Tirreni domenica 15 marzo si è recata presso l’I.C.A.T.T. di Eboli, un istituto a custodia attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze e/o alcoldipendenze. L’istituto accoglie mediamente circa 50 detenuti con caratteristiche ben definite: giovani di età compresa tra i 19 e 45 anni, tossicodipendenti e/o alcolisti provenienti dalla provincia di Salerno o dal territorio della Regione Campania, con un basso indice di pericolosità sociale. La struttura di particolare rilievo storico è all'interno del Castello medievale di Eboli.
Noi Gifrini prima di entrare
Dopo i controlli di routine, svolti dalla polizia penitenziaria, ci dirigiamo verso una sala teatrale dove avrà luogo la Celebrazione Eucaristica e un momento di confronto con i detunuti. 
In quel momento iniziano a prendere piede nel nostro animo sentimenti di timore ma anche mistero e stupore. A primo impatto, nessuno riconosce chi sono i detenuti, anche perché siamo abituati ad un immagine del "carcerato – tipico”, muscoloso, tatuato, non curato in volto. Tutti i sentimenti iniziali svaniscono quando Fra' Gianfranco decide di sostituire la consueta omelia dando spazio alle parole che ogni detenuto sentiva di condividere. È questo il momento più toccante dell’ esperienza: la mente inizia a distinguere le figure dei detenuti ma ben presto viene contraddetta dal cuore che riconosce nella persona che parla un fratello.
La distanza formale che divide noi ospiti dai detenuti viene spazzata via dalle parole di questi ultimi, cariche di rammarico, a volte tristezza, ma pronunciate con grande spontaneità e orgoglio. Le diverse testimonianze ci fanno calare nelle vicende vissute dai detenuti, mettendoci a contatto con le realtà quotidiane che, con indifferenza e superficialità, apprendiamo dai media convinti che non ci appartengono e non ci possano sfiorare minimamente. Dall’ ascolto è possibile tracciare un filo conduttore che unisce le diverse parole: il desiderio del perdono. Desiderio che parte dalla consapevolezza dell’errore fatto a danno non tanto di sé ma quanto nei confronti delle persone che si hanno intorno e che ci vogliono bene.  Infatti ascoltiamo un papà detenuto che ha lasciato un figlio ancora piccolo costretto a convivere con la mancanza ingiusta della figura paterna. Un desiderio di perdono che si mette in moto e sfocia nella voglia di ricominciare grazie ai programmi di riabilitazione che ogni detenuto sceglie di intraprendere consapevole del loro valore non soltanto ai fini della pena (pensiamo ai permessi di vedere i parenti durante le visite all’istituto fino a giungere a veri e propri permessi di libertà part-time ottenuti grazie alla buona condotta) ma anche morale. Le parole dette raggiungono il cuore perché toccano aspetti che noi diamo per scontati nella nostra vita ma che scontati non lo sono: pensiamo alla libertà abusata un po’ da tutti noi ma assaporata dai detenuti. Cogliamo questi sentimenti soprattutto dalla testimonianza di Francesco che racconta l’immensa gioia di poter aspettare il proprio figlio all’uscita di scuola che si scontra però con i pregiudizi, come quelli della maestra che non lo riconosce come il padre, o con il timore di essere visto fuori dal carcere da qualche conoscente intenzionato a provocarlo o dai carabinieri che potessero iniziare una serie di controlli.
Da sottolineare ancora la tenacia e la fermezza con cui Padre Gianfranco ribadisce la bellezza del Vangelo, bellezza che appartiene a ciascuno di noi in quanto figli di Dio, nonostante tutte le esperienze negative che possono farcelo dimenticare. Bellezza che spinge Gesù a dare la propria vita per noi, belli o brutti, credenti e non, bravi o cattivi. Il messaggio che Padre Gianfranco ha voluto trasmettere è un messaggio di speranza rivolto a tutti gli uomini, siano essi liberi cittadini, onesti, premurosi, ma ancora di più per gli ultimi, i poveri perché come dice Gesù “il medico non va dalla persona sana, ma dal malato”.
Il carcere è nel Castello medievale di Eboli
 Al termine della celebrazione segue un piccolo momento di condivisione, soprattutto di dolci offerti dagli ospiti, durante il quale è possibile conoscere più di persona i detenuti, scambiandosi sguardi, sorrisi, parole e strette di mano come veri fratelli.
Quello che ci colpisce più di tutto nel comportamento dei detenuti è la gioia, la gentilezza e la felicità con le quali ci salutano e ci ringraziano della visita, forse per noi un po’ scontata, ma che acquista molto valore per loro. Quella domenica, come ha detto un detenuto di nome Mariarco, potevamo starcene a casa tranquillamente tra il divano, la tv, ecc., ma invece abbiamo scelto di essere lì e questo gesto non passa inosservato tra i detenuti perché capiscono che non sono soli, che non sono abbandonati a se stessi, che c’è qualcuno pronto a lottare per ciascuno di loro.
L’incontro si conclude con una scena finale al tempo stesso inquietante ma ricca di significato: molti detenuti si affacciano dalle finestre serrate delle loro celle sul cortile centrale dove passiamo per raggiungere l’uscita. In quel momento tutti gli occhi si posano su di noi, quasi come in una scena di un film che siamo abituati a vedere in tv. Ma lì era tutto vero. Ad un certo punto divenne quasi straziante vedere quegli sguardi desiderosi di libertà, quasi invidiosi.
L’insegnamento che ci portiamo a casa da questa intensa esperienza è la consapevolezza che il Signore ci fa stupendi doni ogni giorno che risiedono nelle persone che abbiamo al nostro fianco e in noi stessi, doni che dobbiamo apprezzare in ogni momento, metterli a frutto per il bene dell’umanità e non metterli da parte, trascurarli o dimenticarli piangendosi addosso o scoraggiandosi di fronte alle difficoltà.
Possiamo dire che è stata l’occasione giusta per adorare il Corpo ed il Sangue di Cristo, non solo nel pane e il vino spezzato e donato per noi, ma soprattutto con i fratelli che il Signore chiama “più piccoli”.