giovedì 2 aprile 2015

Mani tese verso il Mondo

Il carcere è un’istituzione conosciuta genericamente come luogo nel quale vengono imposte delle restrizioni più o meno gravi a persone che hanno violato la legge. Il progetto “Mani tese verso il mondo” nasce dalla volontà della famiglia francescana laica di Campania e Basilicata di rendersi presente ai fratelli che vivono un difficile status di vita ed ha come obiettivo la sensibilizzazione delle fraternità locali OFS e Gifra verso queste realtà. 
La gioventù francescana di Cava de’ Tirreni domenica 15 marzo si è recata presso l’I.C.A.T.T. di Eboli, un istituto a custodia attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze e/o alcoldipendenze. L’istituto accoglie mediamente circa 50 detenuti con caratteristiche ben definite: giovani di età compresa tra i 19 e 45 anni, tossicodipendenti e/o alcolisti provenienti dalla provincia di Salerno o dal territorio della Regione Campania, con un basso indice di pericolosità sociale. La struttura di particolare rilievo storico è all'interno del Castello medievale di Eboli.
Noi Gifrini prima di entrare
Dopo i controlli di routine, svolti dalla polizia penitenziaria, ci dirigiamo verso una sala teatrale dove avrà luogo la Celebrazione Eucaristica e un momento di confronto con i detunuti. 
In quel momento iniziano a prendere piede nel nostro animo sentimenti di timore ma anche mistero e stupore. A primo impatto, nessuno riconosce chi sono i detenuti, anche perché siamo abituati ad un immagine del "carcerato – tipico”, muscoloso, tatuato, non curato in volto. Tutti i sentimenti iniziali svaniscono quando Fra' Gianfranco decide di sostituire la consueta omelia dando spazio alle parole che ogni detenuto sentiva di condividere. È questo il momento più toccante dell’ esperienza: la mente inizia a distinguere le figure dei detenuti ma ben presto viene contraddetta dal cuore che riconosce nella persona che parla un fratello.
La distanza formale che divide noi ospiti dai detenuti viene spazzata via dalle parole di questi ultimi, cariche di rammarico, a volte tristezza, ma pronunciate con grande spontaneità e orgoglio. Le diverse testimonianze ci fanno calare nelle vicende vissute dai detenuti, mettendoci a contatto con le realtà quotidiane che, con indifferenza e superficialità, apprendiamo dai media convinti che non ci appartengono e non ci possano sfiorare minimamente. Dall’ ascolto è possibile tracciare un filo conduttore che unisce le diverse parole: il desiderio del perdono. Desiderio che parte dalla consapevolezza dell’errore fatto a danno non tanto di sé ma quanto nei confronti delle persone che si hanno intorno e che ci vogliono bene.  Infatti ascoltiamo un papà detenuto che ha lasciato un figlio ancora piccolo costretto a convivere con la mancanza ingiusta della figura paterna. Un desiderio di perdono che si mette in moto e sfocia nella voglia di ricominciare grazie ai programmi di riabilitazione che ogni detenuto sceglie di intraprendere consapevole del loro valore non soltanto ai fini della pena (pensiamo ai permessi di vedere i parenti durante le visite all’istituto fino a giungere a veri e propri permessi di libertà part-time ottenuti grazie alla buona condotta) ma anche morale. Le parole dette raggiungono il cuore perché toccano aspetti che noi diamo per scontati nella nostra vita ma che scontati non lo sono: pensiamo alla libertà abusata un po’ da tutti noi ma assaporata dai detenuti. Cogliamo questi sentimenti soprattutto dalla testimonianza di Francesco che racconta l’immensa gioia di poter aspettare il proprio figlio all’uscita di scuola che si scontra però con i pregiudizi, come quelli della maestra che non lo riconosce come il padre, o con il timore di essere visto fuori dal carcere da qualche conoscente intenzionato a provocarlo o dai carabinieri che potessero iniziare una serie di controlli.
Da sottolineare ancora la tenacia e la fermezza con cui Padre Gianfranco ribadisce la bellezza del Vangelo, bellezza che appartiene a ciascuno di noi in quanto figli di Dio, nonostante tutte le esperienze negative che possono farcelo dimenticare. Bellezza che spinge Gesù a dare la propria vita per noi, belli o brutti, credenti e non, bravi o cattivi. Il messaggio che Padre Gianfranco ha voluto trasmettere è un messaggio di speranza rivolto a tutti gli uomini, siano essi liberi cittadini, onesti, premurosi, ma ancora di più per gli ultimi, i poveri perché come dice Gesù “il medico non va dalla persona sana, ma dal malato”.
Il carcere è nel Castello medievale di Eboli
 Al termine della celebrazione segue un piccolo momento di condivisione, soprattutto di dolci offerti dagli ospiti, durante il quale è possibile conoscere più di persona i detenuti, scambiandosi sguardi, sorrisi, parole e strette di mano come veri fratelli.
Quello che ci colpisce più di tutto nel comportamento dei detenuti è la gioia, la gentilezza e la felicità con le quali ci salutano e ci ringraziano della visita, forse per noi un po’ scontata, ma che acquista molto valore per loro. Quella domenica, come ha detto un detenuto di nome Mariarco, potevamo starcene a casa tranquillamente tra il divano, la tv, ecc., ma invece abbiamo scelto di essere lì e questo gesto non passa inosservato tra i detenuti perché capiscono che non sono soli, che non sono abbandonati a se stessi, che c’è qualcuno pronto a lottare per ciascuno di loro.
L’incontro si conclude con una scena finale al tempo stesso inquietante ma ricca di significato: molti detenuti si affacciano dalle finestre serrate delle loro celle sul cortile centrale dove passiamo per raggiungere l’uscita. In quel momento tutti gli occhi si posano su di noi, quasi come in una scena di un film che siamo abituati a vedere in tv. Ma lì era tutto vero. Ad un certo punto divenne quasi straziante vedere quegli sguardi desiderosi di libertà, quasi invidiosi.
L’insegnamento che ci portiamo a casa da questa intensa esperienza è la consapevolezza che il Signore ci fa stupendi doni ogni giorno che risiedono nelle persone che abbiamo al nostro fianco e in noi stessi, doni che dobbiamo apprezzare in ogni momento, metterli a frutto per il bene dell’umanità e non metterli da parte, trascurarli o dimenticarli piangendosi addosso o scoraggiandosi di fronte alle difficoltà.
Possiamo dire che è stata l’occasione giusta per adorare il Corpo ed il Sangue di Cristo, non solo nel pane e il vino spezzato e donato per noi, ma soprattutto con i fratelli che il Signore chiama “più piccoli”. 

Nessun commento:

Posta un commento